Leonor Fini, il realismo irreale di un’icona di fascino e mistero in mostra a Trieste
Circondata da regnanti e dal jet set internazionale, Leonor Fini, pittrice nata nel 1907 a Buenos Aires, ha vissuto il pieno fermento culturale del Novecento attraversando i venti di guerra.
Una mostra allestita al Porto Vecchio di Trieste, presenta 250 pezzi inediti dell’artista inseriti nell’esposizione intitolata “Leonor Fini. Memorie triestine”.
Dedita all’arte del travestimento fin da piccola, quando veniva abbigliata da maschietto temendo che il padre la rapisse per averla ad ogni costo, dopo la separazione dalla madre, Leonor inizia a disegnare sui banchi di scuola le sue visioni oniriche.
Gli amici la chiamano Loló e a 17 anni comincia ad imparare l’anatomia nell’obitorio di Trieste, esponendo le sue opere per la prima volta a questa età.
Il rapporto intenso con l’arte si intensifica dopo una malattia agli occhi che per alcuni mesi la costringe all’oscurità.
Nel fermento culturale triestino, sua città di adozione dopo la separazione dei genitori, Leonor stringe amicizia con Umberto Saba, Italo Svevo, Arturo Nathan, De Chirico, Christian Dior ancora gallerista prima di diventare celebre couturier.
Si lega allo scrittore André de Mandiargues e vive con lui un legame libero.
É il 1936 e l’arte di Leonor arriva alle stelle! Espone al MoMa di New York e si trasferisce da Salvador Dalì.
Nel 1940 a Roma ritrae Alida Valli a seno nudo, firma i costumi di opere liriche e stringe un’amicizia che durerà tutta la vita, con Elsa Morante.
Amante del nero, di cappe e mantelli, si fa ritrarre in pose da femme fatale. Stringe un ménage à trois con due uomini con cui intrattiene una relazione consensuale vivendoci insieme sotto lo stesso tetto. Incanta lo stesso Fellini che le fa disegnare i celebri costumi di ‘Otto e mezzo’.
Adora i gatti (ne avrà 19) e li ritrarrà più volte; si premurerà addirittura di garantirgli le stesse vacanze per felini anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1996.
L’ARTE

La sua donna era strega o sacerdotessa, bella e sovrana. I caratteri dei suoi personaggi spesso inquietanti. La sua ricerca verteva sulla femminilità e il suo lato oscuro, ispirandosi a temi come il travestimento e l’amore.
Si manteneva facendo ritratti e nella la sua collezione figureranno tantissimi personaggi famosi. Dipinse anche l’opera “La pastorella di Sfingi” acquistato da Peggy Guggenheim per la sua collezione di Venezia, e l’emblematico “Le bout du monde” in cui si sente l’inesorabilità della fine, il trionfo della bellezza e l’energia della natura nell’ora più buia e solitaria.

La sua pittura aveva una luce vivace e aperta e illuminava i ritratti, i fiori, l’erotismo e la simbologia che divenne per lei nuova fonte di ispirazione. La donna rappresentata da Leonor era soprattutto una sfinge dallo sguardo ipnotico, emblema dell’enigma e del passaggio che l’artista incarnava con i suoi travestimenti.